Valeria Secchi – l’autoritratto moderno

Valeria Secchi;

Oggi Valeria Secchi si racconta per farci immergere nel suo lavoro di artista; metodologia, costruzione e significato sono le basi del suo linguaggio.

Chi è Valeria Secchi? Come ha preso vita il tuo percorso artistico?

Sono nata a Sassari, il 10 Gennaio 1990. Ho trascorso la maggior parte dei miei anni in questa città, qui ho completato i miei studi. Sono laureata in Filosofia all’università di Sassari e durante gli anni della magistrale, mentre studiavo e scrivevo la tesi, ho frequentato l’Accademia di Belle Arti Mario Sironi. 

La necessità di creare qualcosa

Il dipartimento di Filosofia e l’Accademia di Belle Arti hanno avuto un ruolo fondamentale per la mia crescita personale e culturale: sono stati per me luoghi di libertà e dialogo, quasi delle seconde case. Durante l’università ho continuato a fare quello che ho sempre fatto, disegnare, senza però avere le idee chiare su cosa volessi in futuro. Sapevo di avere un amore immenso per l’arte ed ero consapevole della mia necessità di creare qualcosa. Ho iniziato a studiare filosofia dell’arte, sentivo di dover prima capire la materia in maniera più approfondita; così ho dedicato la mia tesi triennale al filosofo italiano Luigi Pareyson, con uno studio sul testo Estetica e teoria della performatività. Durante gli anni della triennale ho fatto diversi lavori nel campo della moda, del cinema e del teatro, occupandomi di styling e costumi; si tratta di un mondo che, seppur in maniera differente, rimane presente nel mio lavoro attuale. 

L’accademia

La scelta di iscrivermi all’Accademia è stata per me travagliata: avevo paura di rendermi conto che l’arte non fosse la mia strada. Sono rimasta in Accademia per due anni, due anni in cui ho imparato tantissimo, lavorato e fatto le mie prime mostre. Lì ho capito che non potevo più rinunciare a questo percorso. Terminati gli studi, mi sono dedicata completamente alla mia ricerca artistica, lavorando costantemente, cercando opportunità e nuovi scenari. A gennaio di questo anno mi sono trasferita a Berlino dove frequento il Berlin Art Institute, scuola d’arte internazionale. 

Valeria Secchi; BIG LIKE MENU
Big like menu; Valeria Secchi

Cosa vuoi trasmettere attraverso i tuoi lavori?

Al di là dell’urgenza creativa, è la necessità di analisi e comprensione del nostro tempo che dirige il mio lavoro. Devo anche dire che la scrittura è stata per lungo tempo un ausilio per le mie ossessioni. Tuttavia, la parola è per me qualcosa che sfugge, che non riesco a pronunciare come vorrei; la parola è per me contradditoria al punto di non riuscire a seguire il suo andamento, da sinistra a destra. Mi riferisco ad una scrittura intima non ad una accademica. I miei diari sono sovrapposizioni di parole che perdono senso. Dell’immagine invece accetto e celebro l’ambiguità.

Come hai capito quale fosse il tuo linguaggio artistico?

L’ho capito attraverso il cinema, in particolare grazie all’incontro con l’opera di Ingmar Bergman. Ricordo, guardando Persona, di essere stata colta da una sensazione di scoperta: lo svisceramento e l’esposizione dei temi scelti nella produzione del regista svedese mi hanno indicato un percorso che fino ad allora non avevo considerato. La mia risposta iniziale fu quella di spingermi alla creazione di video, cosa che feci dopo aver studiato e praticato un elemento fondamentale dell’immagine in movimento, la sua fotografia. In questo senso l’opera di Sven Vilhem Nykvist, prezioso collaboratore di Bergman, ha sicuramente indirizzato i miei primi lavori verso una certa direzione. Durante questi primi passi ho avuto conferme e scontri sia con il mezzo video che con quello fotografico ma ho continuato a dialogare e collaborare con loro, testando le mie e le loro possibilità.  

Quanto ci metti generalmente per capire che un’idea funziona e quanto sei perfezionista nel tuo lavoro?

Lo capisco subito ma alle volte ignoro il mio intuito. L’accanimento che in questo ultimo caso esercito sulle immagini (al di là della frustrazione di una realizzazione mancata) è utile come esercizio. Durante queste sedute “chirurgiche” mi è capitato di scoprire delle combinazioni efficaci. Nulla va dunque sprecato ma in termini di esposizione del lavoro sono una che scarta molto. Non so se questo abbia a che fare con un’idea di perfezionismo o di insicurezza. 

Valeria Secchi; LIDL;
Lidl; Valeria Secchi

I tuoi sono tutti autoritratti. Riesci a lavorare meglio e trasmettere ciò che vuoi tramite te stessa?

La scelta dell’autoritratto dipende da una necessità pratica: quando un’idea mi viene in mente sento il bisogno di eseguirla nell’immediato. Sono io l’unica ad essere sempre disponibile a me stessa e pertanto mi utilizzo. Devo aggiungere però che all’inizio del mio percorso, fotografavo e filmavo esclusivamente gli altri; anche questo è stato un momento indispensabile per la mia crescita. Non ho dunque l’arroganza di ritenere di essere l’unico tramite del mio lavoro. 

Ci sono delle icone artistiche dalla quale hai tratto ispirazione o alla quale ti senti vicina?

Ce ne sono tante, ne cito alcune: Jenny Holzer, Grayson Perry, Martha Rosler, Ana Mendieta, Gina Pane, Barbara Kruger. Le influenze che subisco, ci tengo a dirlo, non provengono solo dal mondo delle arti visive; cinema, letteratura, cronaca e fumetto contribuiscono in modo decisivo nel mio pensare e operare. 

Scelta dettagliata dei colori e della composizione, il tuo feed si sposa alla perfezione nonostante vi siano colori differenti in ogni foto. Quanto c’è di reale di ciò che vediamo nelle foto e quanto lavoro di editing c’è dietro?  

La maggior parte dei miei lavori richiede una preparazione: l’allestimento del background (uso perlopiù stoffe colorate), il posizionamento delle luci e della macchina, trucco, capelli (o parrucche) e costumi. Mi prendo il tempo che serve per scattare e questo varia a seconda delle condizioni e delle ambizioni del lavoro. L’editing è un processo solitario che mi diverte moltissimo, capace di coinvolgermi per ore. Il grosso del mio lavoro consiste nell’alterazione dei colori e, per aiutarmi in questo, uso una tavoletta grafica. Tendo a non eseguire modifiche sul mio aspetto se non sono utili al concetto che espongo. In Homemade lifting, ad esempio, ho voluto trasformare il mio volto: le mollette hanno tirato effettivamente (e dolorosamente!) la pelle, il resto (naso affilato e bocca carnosa) l’ho creato su Photoshop. Il risultato è volutamente grottesco: non voglio che le alterazioni che compio in fase di editing siano troppo “vere”, preferisco risultino posticce, ridicole. 

Valeria Secchi; HOME MADE LIFTING;
Home made lifting; Valeria Secchi

Il tuo feed si divide tra foto super colorate dal 2018 in poi e altre sui toni del bianco che sembrano presentarsi apparentemente con un approccio più narrativo e concettuale. Cos’è cambiato e perché l’uso dei colori è esploso così improvvisamente? Il tuo stile e il tuo modo di comunicare sono mutati nel tempo? 

Nelle prime foto che ho pubblicato su Instagram, il mio approccio è intimo, privo di sovrastrutture particolari. Faccio ancora questo tipo di lavoro ma scelgo di non esporlo in quella vetrina. Più tardi, è nata in me l’esigenza di analizzare il rapporto tra realtà virtuale e identità. Per farlo mi sono servita dell’estetica dei social, di una modalità di esposizione che interpretasse un imperativo: essere presenti e protagonisti. I colori sgargianti, l’estetica e le pose dei personaggi che metto in scena sono esasperati, ed esasperanti sono le condizioni che ne pongono l’esistenza.  

Valeria Secchi; IN THE DARKEST SIDE;
In the darkest side; Valeria Secchi

L’utilizzo degli oggetti nella scena sembra essere fondamentale per trasmettere un’idea ben precisa come quella della chirurgia estetica. Come ti è venuta quest’idea?

La chirurgia estetica è un’ossessione dei nostri tempi. Spesso la si utilizza per somigliare a qualcuno. Questo desiderio di somiglianza è estremamente interessante: ci informa sull’evoluzione dei canoni di bellezza nel tempo e rivela la sua genesi attraverso le star che lo incorporano. Anche i filtri disponibili su instagram e snapchat sembrano adattarsi a questo desiderio di somiglianza, regalandoci occhi da cerbiatto, nasi intagliati e labbra carnose. Sui social siamo tutti uguali. 

Le tue foto sono state apprezzate ed esposte in alcune mostre, soprattutto all’estero.
Pensi che in Sardegna i giovani artisti debbano essere più valorizzati?

È una domanda molto complessa che richiederebbe un capitolo a sé. Mi limito a dire che in Sardegna ho mosso i primi passi nel mondo dell’arte. A Sassari, in particolare, ho fatto le prime mostre al LEM e al WILSON PROJECT. Questi spazi mi hanno formata e preparata a quello che è venuto dopo. Ciò che manca in Sardegna non sono i bravi artisti o i bravi curatori. Ciò che manca è un reale coinvolgimento delle istituzioni, un’attenzione da parte di queste nei confronti di chi opera sul territorio. 

Cosa non ci fai vedere nei social? Quali sono le tue foto “inedite”?

Le foto inedite sono quelle che hanno bisogno di “riposare di più”. L’espressione non è mia, la prendo in prestito da un professore che la utilizzava per riferirsi al suo rapporto con la pittura. Alcune foto non riesco a guardarle né tantomeno a condividerle. Devono riposare e io devo allontanarmi da loro. 

Parlami del tuo rapporto con i social.

Il mio rapporto coi social è scostante. Mi capita di non entrare su Instagram per giorni. Voglio prendermi la libertà di poter non vedere e sapere di nessuno. Non amo mostrare la mia vita privata. Accetto come fatto un tempo che spettacolarizza il quotidiano ma non vi aderisco.  

Quali sono i tuoi progetti futuri? 

Conoscere meglio la realtà berlinese dove ora vivo.

profilo instagram: https://www.instagram.com/valeria_secchi/?hl=it

Intervista autentica realizzata da Sofia Caddeu.